"Fango"

Pioveva a dirotto. La pioggia era cosí fitta e pesante che sembrava il sipario di un teatro rotto. Il mio assassino si preparava in un garage ad un paio di chilometri di distanza. Il suo complice lo prelevó con l’auto alle dieci e mezza in punto. L’assassino si sedette sul sedile posteriore, controlló bene la pistola e avvitó il silenziatore. I due si parlavano a monosillabi. Non avevano molto da dirsi, era stato giá tutto deciso. Il complice lo fece scendere vicino a casa mia. Lui raggiunse l’angolo di strada stabilito, accanto al mio portone. Si appoggió al muro, sotto a un cornicione. Era invisibile nell’ombra vestito com’era tutto di nero. Ma notai la nuvoletta di vapore che emanava quando respirava. Purtroppo la notai troppo tardi. Estrasse la pistola e me la puntó al fianco. Alzai le mani pensando ad una rapina, lui me le abbassó e disse solo “cammina”. Aveva un viso grigio e duro come il cemento. Mi spinse verso una stradina che sfociava su un prato poco illuminato. Non ebbi tempo di dire niente, anche se avevo tanti pensieri e preghiere in mente. Ci fermammo sul ciglio della strada e mentre tentai di voltarmi lui mi diede un colpo secco in testa e caddi a terra. Col silenziatore nessuno udí quei tre colpi sordi. Uno mi colpí alla testa, uno alla gola e uno in petto. Il mio assassino si allontanó lentamente per non destare sospetto. Sgattaioló in un vicolo, silenzioso come un gatto. Erano le undici di sera. Pioveva a dirotto. Morii cosí, in un mezzo fosso pieno di fango.